˃ ore 20 TEATRO CECCHETTI
ANDREA COSTANZO MARTINI
PAS DE CHEVAL
anteprima nazionale
idea, coreografia Andrea Costanzo Martini
interpreti Francesca Foscarini, Andrea Costanzo Martini

luci Yoav Barel
musiche Angelo Badalamenti, Ennio Morricone
testi Francesca Foscarini, Andrea Costanzo Martini
produzione realizzata con il sostegno di Artisti Associati Gorizia, Tanzhaus Zürich, NOD – Nuova Officina della Danza Torino
in collaborazione con Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza Scenario Pubblico/CZD
Pas de Cheval è un duetto coreografato da Andrea Costanzo Martini e interpretato da Francesca Foscarini e lo stesso Martini. Pensato per due performer non più giovanissimi e ispirato alla figura del cavallo, simbolo di grazia, forza e libertà, il lavoro indaga il parallelismo tra l’animale e il danzatore-performer: entrambi creature ammirate, plasmate da un immaginario che cela realtà di fatica, disciplina estrema e discutibili dinamiche di potere.
Con leggerezza e ironia, Pas de Cheval svela le contraddizioni dello spettacolo dal vivo, interrogandosi sul prezzo che un performer è disposto a pagare per ottenere l’amore del pubblico e per la propria sopravvivenza, anche economica, nel sistema. Attraverso un linguaggio fisico essenziale, voci sussurrate e un immaginario che alterna pratica e rappresentazione, il duetto esplora i confini tra addestramento e libertà, obbedienza e desiderio, virtuosismo e vulnerabilità.
ANDREA COSTANZO MARTINI
Coreografo e performer italiano, nato e cresciuto in Piemonte. Inizia la sua formazione presso Danzicherie a Cuneo e il Teatro Nuovo di Torino, per poi proseguire gli studi di danza classica presso l’Accademia di Balletto Heinz-Bosl Stiftung a Monaco di Baviera. A 19 anni si trasferisce in Germania e nel 2004 inizia la carriera professionale presso l’Aalto Staats-Theater di Essen.
Nel 2006 entra a far parte della Batsheva Dance Company a Tel Aviv, dove danza nei lavori di Ohad Naharin e Sharon Eyal, insegnando anche Gaga e sviluppando le sue prime coreografie attraverso il progetto Dancers Create. Successivamente, danza con il Cullberg Ballet (2008–2010), interpretando opere di Benoît Lachambre, Alexander Ekman, Crystal Pite, Jefta van Dinther e Tillman O’Donnell, e crea il suo primo pezzo, For Men Only. Nel 2012 torna in Israele, unendosi alla compagnia di Inbal Pinto & Avshalom Pollak, e inizia a concentrarsi sulla propria ricerca coreografica. Dal 2013, Andrea Costanzo Martini firma e interpreta le sue creazioni in ambito internazionale. Tra i suoi lavori più noti: What Happened in Torino (2013, Primo Premio Stuttgart Solo Dance Competition), Scarabeo (Aerowaves 2018), PayPer Play (2021) e Mood Shifters (2021). Le sue creazioni più recenti includono Première (commissionato dal Balletto di Roma), Wild Thoughts (per NDCWales), Life in Lycra (2023, premiato al RIDCC 2024), Animal In (2024, commissionato da Art Project Bora, Corea del Sud) e Blaubart 2.0 (2025, commissionato da MIR Dance Company, Germania).
Il suo linguaggio coreografico fonde fisicità estrema e narrazione teatrale, giocando con ironia e umorismo per sovvertire le aspettative sulla danza contemporanea. Esplora le dinamiche di potere tra performer e spettatore, il desiderio di catturare l’attenzione e il rischio dell’oggettificazione. Le sue opere sfumano i confini tra danza e performance art, integrando oggetti, testo, video e interazione con il pubblico. Dal 2007 è insegnante certificato di Gaga e conduce workshop in tutto il mondo.
˃ ore 21 TEATRO ROSSINI
COMPAGNIA ZAPPALÀ DANZA & MUNEDAIKO
BROTHER TO BROTHER
DALL’ETNA AL FUJI
anteprima nazionale
regia e coreografia Roberto Zappalà
musica live Munedaiko
soundscape Giovanni Seminerio
danza e collaborazione danzatori della Compagnia Zappalà Danza, Samuele Arisci, Loïc Ayme, Faile Sol Bakker, Giulia Berretta, Anna Forzutti, Dario Rigaglia, Silvia Rossi, Damiano Scavo, Alessandra Verona
musicisti live Mugen Yahiro, Naomitsu Yahiro, Tokinari Yahiro [Munedaiko]
drammaturgia Nello Calabrò
scene, luci e costumi Roberto Zappalà
assistente alle coreografie Fernando Roldan Ferrer
realizzazione costumi Majoca
realizzazione scenografia Peroni
produzione Scenario Pubblico | Compagnia Zappalà Danza
Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la Danza
in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena
in collaborazione con AMAT & Civitanova Danza, Marche Teatro e Fuori Programma Festival
con il patrocinio di INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
con il sostegno di MiC e Regione Siciliana Assessorato del Turismo dello Sport e dello Spettacolo
I fratelli del titolo della nuova creazione di Roberto Zappalà sono il Fuji e l’Etna, i due vulcani per eccellenza della storia e dell’immaginario simbolico del mondo. La nuova creazione pone l’attenzione in maniera forte e vigorosa sul rapporto tra la performance dei danzatori della Compagnia Zappalà Danza e quella dei Munedaiko, musicisti consacrati alla pratica e valorizzazione del tamburo tradizionale giapponese “Taiko” (太 tai 鼓 ko: grande tamburo) dove la postura, il movimento e la concentrazione sono fondamentali. Così come i vulcani sono all’origine dell’attuale conformazione del pianeta, la percussione è all’origine dell’arte musicale e culturale creata dall’uomo, a partire dal ritmo del battito cardiaco. I tamburi provocano bolle di suoni, di ritmi che “scoppiano” nelle orecchie e nel cervello degli spettatori; ritmi che i danzatori seguono e provocano allo stesso tempo in un fluire incessante, un respiro comune che armonizza i corpi, con le civiltà di origine e con le civiltà tra di loro, con la speranza oggi sempre più auspicabile che, come dice Fosco Maraini, possiamo essere «imbevuti di quell’olio confuciano necessario a lubrificare le ruote della convivenza civile».
Tra ogni battito e ogni movimento si cela una pausa naturale, simile alla quiete che segue un’eruzione vulcanica: un momento di silenzio nel ritmo dell’esistenza. Questo equilibrio tra movimento e immobilità, tra suono e silenzio, riflette l’armonia presente in natura. Sebbene il corpo e lo spirito umano siano spesso guidati dall’energia e dal dinamismo, esiste una profonda connessione con i ritmi di pace che la natura offre: un ritmo che, come il silenzio tra i colpi del tamburo Taiko, invita alla riflessione, al rinnovamento e al ritorno alla calma interiore.
Silenzio e caos, movimento e quiete, Oriente e Occidente, natura e cultura: dualità che permeano questa creazione e riecheggiano un detto amato in Oriente: Due è uno e uno è due.
˃ ore 23 TEATRO ANNIBAL CARO
MARCO D’AGOSTIN
ASTEROIDE
progetto di residenza
di e con Marco D’Agostin
suono Luca Scapellato
canzoni Marco D’Agostin, Luca Scapellato
scene Paola Villani, Bots Conspiracy
luci Paolo Tizianel
costumi Gianluca Sbicca
con una scena scritta da Pier Lorenzo Pisano
assistente alla creazione Lucia Sauro
ricerca condivisa con Chiara Bersani, Sara Bonaventura,
Nicola Borghesi, Damien Modolo, Lisa Ferlazzo Natoli
movement coach Marta Ciappina
danze di repertorio Giulio Santolini, Stefano Bontempi
vocal training Francesca Della Monica
consulenza scientifica Enrico Sortino
produzione VAN
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa Théâtre de la Ville [Parigi], Fondazione Teatri di Pistoia, Pôle-Sud CDCN Strasbourg, Festival Aperto / Fondazione I Teatri – Reggio Emilia, Baerum Kulturhus – Dance Southeast-Norway, Snaporazverein
con il sostegno CCN Ballet de l’Opéra national du Rhin, Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni, AMAT & Civitanova Danza
per RAM_Residenze Artistiche Marchigiane finanziate da MiC e Regione Marche
La Contrada Teatro Stabile di Trieste, Istituto Italiano di Cultura di Oslo/MiC-Direzione Generale Spettacolo
e Sprang / Ål kulturhus, regional dance scene and performing arts center
nell’ambito di NID international residencies programme, Grand Studio [Bruxelles], Scenario Pubblico [Catania], CSC/Centro per la Scena Contemporanea [Bassano del Grappa], Atcl/Spazio Rossellini, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Centrale Fies, Teatro Stabile dell’Umbria
Un omaggio al musical, alle sue travolgenti e paradossali logiche, alle storie d’amore che finiscono improvvise come un asteroide e alla nostra umana, intollerabile finitezza. Con la consueta ironia, Marco D’Agostin costruisce una partitura per voce e corpo che muovendosi tra paleontologia, danza e sentimento racconta gli infiniti modi coi quali la vita trova sempre il modo di resistere.
La geologia e il romanticismo hanno una cosa in comune: raccontano che le cose durano a lungo. L’assurda ipotesi di un asteroide che avrebbe portato all’estinzione istantanea di tutti i dinosauri ha sconvolto la comunità scientifica negli anni ‘80: nessuno poteva accettare una storia così terribilmente affascinante ma insieme troppo inverosimile. La stessa incredulità di chi, all’improvviso, si ritrova senza un amore: è difficile accettare che la vita possa cambiare direzione in modo così repentino e crudele.
Nel nuovo spettacolo di Marco D’Agostin, la figura di un misterioso paleontologo si presenta al pubblico per discorrere di ossa, estinzioni e materiale cosmico. Appare subito chiaro che qualcosa non torna: le sue frasi si lasciano scappare dettagli sentimentali, la postura di un arto assume una bizzarra posa coreografica, la pronuncia delle parole assomiglia sempre di più a un canto. Una minaccia incombe sul corpo del divulgatore, tanto terrificante quanto la scia di un asteroide: è il musical, la forma di entertaining più paradossale ed estenuante, che sembra voler divorare la conferenza per mettere alla prova la capacità di danzare e cantare il racconto della fine.
In un corpo a corpo con Broadway, il divulgatore/performer dà vita a un inedito duetto che ha per coppie di protagonisti la scienza e l’amore, l’intrattenimento e l’informazione, la vita e la morte, la danza e il teatro. Tra tradimenti, ossa di dinosauro e misteriose grotte piene di iridio, Asteroide racconta la straordinaria capacità della vita – e dunque dell’arte – di ripresentarsi sempre, in nuove forme, senza soccombere mai. E noi viventi, chiamati di continuo a ricostruirci dopo le apocalissi – che in un vertiginoso capovolgimento D’Agostin ci invita a osservare come se fossero sempre alle nostre spalle – siamo la prova che costruiamo noi stessi strato dopo strato, come il tessuto terrestre, e che le nostre biografie sono piccole ere geologiche destinate a lasciare qualcosa in eredità.
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